«La fine della libertà: ARRESTO di Paolo ed
il racconto della sua Testimonianza
»

Il fatto che stavano cercando di uccidere Paolo e che tutta Gerusalemme era in rivolta, fu riferita al tribuno della corte. Egli immediatamente prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, i rivoltosi cessarono di percuotere Paolo. Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò ed ordinò che fosse legato con due catene; intanto s'informava chi questo Paolo fosse e che cosa avesse fatto. Ma tra la folla c'era però molta confusione, chi diceva una cosa, chi un'altra. Nell'impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa delle notizie contrastanti, ordinò di condurre Paolo nella fortezza. Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla. La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: «A morte!». Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: «Posso dirti una parola?». «Conosci il greco?», disse quello, «ma, allora tu non sei quell'Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?». Rispose Paolo: «Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego, lascia che rivolga la parola a questa gente».

Avendo egli acconsentito, Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico dicendo: «Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi». Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più. Ed egli continuò: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti. Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" Ed io risposi: "Chi sei, o Signore?" Ed Egli mi affermò: "Io sono Gesù il Nazareno, Colui che tu perseguiti". Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. Io dissi allora: "Che devo fare, Signore?" E Egli a me rispose: "Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia". E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco. Un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti, venne da me, mi si accostò e disse: "Saulo, fratello, torna a vedere!" E in quell'istante io guardai verso di lui e riebbi la vista. Egli soggiunse: "Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il Suo Nome". Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi Lui che mi diceva: "Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di Me". E io dissi: "Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano". Allora Egli mi disse: "Va', perché io ti manderò lontano, tra i pagani».

Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: «Toglilo di mezzo; non deve più vivere!». E poiché continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria, il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a colpi di flagello al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in tal modo.

Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto: «Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?». Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno: «Che cosa stai per fare? Quell'uomo è un romano!». Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: «Dimmi, tu sei cittadino romano?». Paolo rispose: «Sì». Il tribuno replicò: «Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo». Paolo disse: «Io, invece, lo sono di nascita!».
E subito si allontanarono da lui tutti quelli che dovevano interrogarlo. Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene.


     «Paolo dinanzi al TRIBUNALE»