Il giorno
dopo, Agrippa e Berenìce vennero con gran pompa ed entrarono
nella sala dell'udienza, accompagnati dai tribuni e dai cittadini
più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare anche Paolo.
Allora Festo disse: «Re Agrippa e cittadini
tutti qui qui presenti con noi, voi avete davanti agli occhi colui
sul conto del quale tutto il popolo dei Giudei si è appellato
a me, in Gerusalemme e qui, per chiedere a gran voce che
non resti più in vita. Io però mi sono convinto che egli
non ha commesso alcuna cosa meritevole di morte ed
essendosi appellato all'imperatore ho deciso di farlo partire.
Ma sul suo conto non ho nulla di preciso da scrivere
al sovrano; per questo l'ho condotto davanti a voi e
soprattutto davanti a te, o re Agrippa, per avere, dopo
questa udienza, qualcosa da scrivere. Mi sembra assurdo
infatti mandare un prigioniero, senza indicare le accuse
che si muovono contro di lui». Agrippa disse
a Paolo: «Ti è concesso di parlare
a tua difesa».
Allora
Paolo, stesa la mano, si difese così: «Mi
considero fortunato, o re Agrippa, di potermi discolpare da tutte
le accuse di cui sono incriminato dai Giudei, oggi qui davanti a
te, che conosci a perfezione tutte le usanze e questioni riguardanti
i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. La mia vita
fin dalla mia giovinezza, è stata vissuta tra il mio popolo e a
Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; essi sanno pure da
tempo, se vogliono renderne testimonianza, che, come fariseo,
sono vissuto nella setta più rigida della nostra religione. Ed
ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella
promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici
tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno
con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato
dai Giudei! Perché è considerato inconcepibile fra di voi che
Dio risusciti i morti? Anch'io credevo un tempo mio dovere
di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno,
come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi
in prigione con l'autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e,
quando venivano condannati a morte, anch'io ho votato
contro di loro. In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli
con le torture a bestemmiare e, infuriando all'eccesso contro
di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere.
In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco
con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi
sacerdoti, verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce
dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei
compagni di viaggio. Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo
una voce che mi diceva in ebraico: "Saulo, Saulo, perché
mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo".
E io dissi: "Chi sei, o Signore?" Ed il Signore
rispose: "IO sono Gesù, che tu perseguiti. Su, alzati e rimettiti in piedi;
ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle
cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. Per questo
ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando ad aprir loro
gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere
di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l'eredità
in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me".
Pertanto, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste;
ma prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e
in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo
di convertirsi e di rivolgersi a Dio, comportandosi in maniera
degna della conversione. Per queste cose i Giudei mi assalirono
nel tempio e tentarono di uccidermi. Ma l'aiuto di Dio mi ha
assistito fino a questo giorno, e posso ancora rendere
testimonianza agli umili e ai grandi. Null'altro io affermo se
non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva
accadere, che cioè il Cristo sarebbe morto, e che,
primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce
al popolo e ai pagani».
Or
mentr'egli si difendeva così, Festo interruppe ed a gran voce
disse: «Sei pazzo, Paolo; la troppa
scienza ti ha dato al cervello!». E Paolo:
«Non sono pazzo, disse,
eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge.
Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con
franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto,
poiché non sono fatti accaduti in segreto. Credi, o re Agrippa,
nei profeti? So che ci credi». E Agrippa rispose
prontamente a Paolo: «Per poco
non mi convinci a farmi cristiano!».E Paolo:
«Per poco o per molto, io vorrei
supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi
ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste
catene». Allora il re s'alzò e con lui anche il
governatore, Berenìce, e quelli che avevano preso parte
alla seduta e avviandosi conversavano insieme e
dicevano: «Quest'uomo non
ha fatto nulla che meriti la morte o le catene».
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